Archiviato il Gran Premio di Long Beach e con la gara di Barber ormai alle porte, gli appassionati della IndyCar hanno una volta di più potuto riflettere sulla competitività del campionato
In attesa dell’evento di Barber (Birmingham, Alabama), gli appassionati della IndyCar si sono soffermati su quanto accaduto a Long Beach.
Una delle peculiarità della IndyCar – e in generale delle corse americane – è sempre stata la grande aggressività dei piloti. Le gare sono molto ‘fisiche’. I contatti, all’ordine del giorno.
Un confronto tra diverse generazioni di piloti
Eppure, alla luce dell’ultimo Gran Premio di Long Beach, è sorta una riflessione su una presunta ‘frattura generazionale‘ che starebbe interessando la categoria.
Nello specifico, particolarmente di rilievo sono state le dichiarazioni di Pato O’Ward – a proposito del contatto con Dixon – sul fatto che non ci fosse nulla di cui scusarsi.
"I'm not gonna apologize for that." 👀🍿 pic.twitter.com/hmQrjd3MNx
— NTT INDYCAR SERIES (@IndyCar) April 16, 2023
Una polemica – ammesso e non concesso che di polemica si voglia parlare – pienamente in linea con la filosofia d’oltreoceano di intendere le competizioni. Un confronto, che una volta di più ha posto l’accento su uno dei principali punti di forza del campionato 2023.
La varietà del parco partenti (fosse anche solamente per la Indy 500) e la pluralità delle rispettive carriere.
Basti solamente citare Dixon, Power, Kanaan, Castroneves, ma anche Pagenaud. Veri e propri miti. Esempi di longevità che grazie al confronto con i ‘nuovi arrivati’ – Herta, O’Ward, Kirkwood – hanno valorizzato un pacchetto, sempre più apprezzato per il livello della competizione.
Nel contempo, in IndyCar si sono rilanciati sportivi provenienti dalla Formula 1, da Grosjean a Marcus Ericsson. Questi ultimi hanno trovato negli Stati Uniti una maggiore affinità con il loro stile di guida piuttosto ‘aggressivo’.
Considerando anche quanto in Formula 1, non di rado, l’azione in pista venga valutata con un metro di giudizio più severo.
Il giudizio di Hildebrand
Della ‘questione generazionale’, si è occupato J. R. Hildebrand, che in IndyCar ha esordito nel 2010.
Già secondo nella famosa e per lui sfortunatissima Indy 500 del 2011, attualmente il classe 1988 è anche conduttore del Podcast sulla IndyCar del portale The Race.
E in questa ‘sede’, lo stesso campione Indy Lights 2009 si è soffermato sull’incontro ravvicinato tra O’Ward e Dixon di Long Beach, traendone lo spunto per una riflessione di più ampio respiro.
“Ogni singola posizione ha fondamentalmente più valore oggi che non cinque o a dieci anni fa“, ha esordito Hildebrand.
Lo stesso nativo di Sausalito ha poi aggiunto: “La differenza principale che ho notato in termini di condotta di gara, è stata la modalità con cui si approccia la staccata. Se quello che ha fatto O’Ward [con Dixon], l’avessi fatto io con Dario Franchitti, sicuramente sarebbe venuto a cercarmi dopo la gara“.
L’ex pilota Panther Racing ha sottolineato come al giorno d’oggi, però, “i piloti più giovani guidino in ogni tornata come se si trattasse di un giro di qualifica”. Dunque, c’è stato un cambiamento “nel modo in cui s’imposta la frenata e si prende il punto di corda nelle curve“.
Ed è in questo che più si sono differenziate le nuove leve, rispetto ai veterani.
Possibili rischi
Come solito, i cambiamenti hanno con sé portato delle conseguenze.
Il fatto che la IndyCar – per esempio, in occasione del contatto di Nashville tra Newgarden e Grosjean – non abbia preso provvedimenti è stato significativo. In questo senso, è come se l’intenzione fosse quella di incentivare i piloti ad essere sempre più aggressivi.
Una tendenza, che potrebbe costringere anche la ‘vecchia guardia’ a rivedere il proprio stile di guida, allineandosi ai ‘più moderni’ canoni.
L’aumento dei rischi e degli incidenti, però, potrebbe esserne una conseguenza diretta. La sicurezza stessa dei protagonisti ‘del gioco’ potrebbe essere ridisegnata.
Tra passato e presente
Tenendo a mente l’analisi di Hildebrand, il richiamo al passato (recente) è stato l’aspetto che di più e meglio ha commisurato l’evoluzione delle vicende sportive, in pista, nelle ultime stagioni.
Certo, gli anni d’oro della CART – e dei vari Montoya, Papis, Moore, Franchitti, Tracy – rimangono inarrivabili, visto il calibro dei personaggi.
Anzi, quando si volge lo sguardo agli anni Novanta, l’impressione è che siano trascorsi molti più anni di quelli effettivamente passati. Basti semplicemente pensare che ancora fino al 2006 (per la CART/Champ Car) o al 2007 (per la IndyCar), il cambio veniva azionato per mezzo della classica leva.
Ad ogni modo, tornando al presente, le aspettative rimangono alte. Capacità di reinventarsi e confronto tra età diverse, sono stati i due pilastri che hanno dato nuova linfa alla categoria. Una categoria che – in attesa delle nuove motorizzazioni – non intende più fermarsi.
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