Dopo le prove di Homestead-Miami è filtrato un certo ottimismo sull’ibrido, se non altro in confronto agli infiniti problemi iniziali che hanno costretto l’IndyCar a rimodularne la fase di sviluppo
Le prove dell’Homestead-Miami hanno rappresentato un primo, vero, passo in avanti nell’implementazione dell’ibrido, destando un certo ottimismo anche tra gli addetti dell’IndyCar.
Al termine della tre giorni della Florida, non sono stati riscontrati particolari al sistema ERS. Questo aspetto non è secondario. In effetti, era stato proprio a causa del malfunzionamento degli accumulatori di energia, che l’IndyCar aveva interrotto i test, all’inizio dello scorso Novembre.
Le polemiche e il tempo perso hanno messo in discussione la credibilità della serie. La decisione di rinviare l’esordio dell’ibrido alla seconda metà di stagione – certamente dopo la Indy500 – ha creato non poche polemiche. C’è anche chi ha già lanciato un monito sulla regolarità del Campionato del 2024. Al contrario, i buoni riscontri dell’Homestead-Miami serviranno a ‘calmare le acque’ e a redifinire le tempistiche dei collaudi.
La regolarità come principale imperativo
In totale, nel corso delle tre giornate di prove, sono stati percorsi complessivamente 1446 giri – 3196 miglia – da dieci piloti, con vetture munite di turbo-ibrido. Non c’è stata nessuna interruzione. Nessun inconveniente è stato riscontrato.
Le prove hanno coinvolto sia la Honda che la Ilmor-Chevrolet. Per la casa giapponese, hanno girato Kyle Kirkwood e Colton Herta (Andretti Global), Marcus Armstrong, Kyffin Simpson e Linus Lundqvist (Chip Ganassi Racing). Sotto l’egida del motorista di Detroit, hanno guidato Pato O’Ward, Alexander Rossi e David Malukas (Arrow McLaren), oltre a Josef Newgarden e Will Power (Team Penske).
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L’ERS, inoltre, permetterebbe di utilizzare il sistema per riaccendere i motori in caso di stallo, senza l’intervento manuale dei commissari di pista. Anche in questo caso, il sistema avrebbe funzionato correttamente. Secondo RACER, infatti, un pilota finito nelle vie di fuga avrebbe usato l’MGU per riavviare il motore, inserire la retromarcia e tornare ai box, non necessitando di alcun aiuto.
Chiaramente, dal vertice dell’IndyCar sono arrivate parole di grande soddisfazione. “L’enorme quantità di lavoro svolto ci ha regalato tre giorni di test molto incoraggianti“, ha dichiarato Jay Frye. “Tutti sono stati orgogliosi di vedere che il progetto si stia realizzando. Quello che volevamo. La strada da percorrere, però, è ancora lunga, quindi non stiamo festeggiando. Abbiamo imparato molto e a testa bassa continueremo ad andare avanti“.
Tra i piloti, RACER ha sentito Kyle Kirkwood, portacolori dell’Andretti Global. Il nativo di Jupiter ha commentato, con rinnovato ottimismo, i passi in avanti fatti dall’IndyCar al ‘capitolo ibrido’.
“È filato tutto liscio. Non abbiamo avuto un solo intoppo in ogni singola giornata“, ha detto il classe 1998. Poi, lo stesso Kirkwood ha aggiunto: “C’è stato un fondamentale miglioramento nello sviluppo dell’ibrido. Di solito infatti, su alcune vetture, sia che montino un motore ibrido che un motore ‘normale’, quando si prova così a lungo, per tre giorni, si verifica qualche problema. Nel nostro caso, non c’è stata alcuna rottura. Possiamo allora dire che sia stato un test piuttosto promettente“.
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Meritorio anche il commento di Will Power, a proposito della guidabilità del nuovo pacchetto tecnico. Al portale della IndyCar, l’australiano ha dichiarato: “A dire il vero, con l’ibrido non è stato affatto diverso. Semplicemente, rispetto al push-to-pass, con la rigenerazione dell’energia si preme un pulsante all’uscita della curva. Non è che lo si faccia ad ogni curva. Tuttavia, ogni volta che si rientra ai box, i tecnici del motore apportano delle modifiche, seguono il processo, imparano aspetti diversi. Sarà bello“.
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