Stefano Domenicali riapre il caso Imola: tra storicità, limiti infrastrutturali e la necessità di guardare avanti in un calendario sempre più globale
Nel corso della sua partecipazione al podcast The BSMT di Gianluca Gazzoli, Stefano Domenicali, CEO della Formula 1 e imolese doc, ha affrontato uno dei temi più discussi degli ultimi mesi: il futuro del Gran Premio di Imola.
L’ex team principal della Ferrari ha ricordato con orgoglio il ruolo fondamentale che il circuito del Santerno ebbe durante il periodo del Covid-19, quando, in piena emergenza sanitaria, “Imola si fece trovare pronta” per ospitare la F1 mentre altri Paesi non erano in grado di farlo.
Domenicali ha sottolineato come la gara italiana sia tornata nel calendario proprio grazie a quella disponibilità e al lavoro congiunto di istituzioni e organizzatori locali. Tuttavia, guardando al futuro, il manager romagnolo è stato chiaro: la tradizione da sola non basta più.
Il numero uno della Formula 1 ha spiegato che oggi la competizione tra Paesi per ospitare un GP è altissima. Inoltre, gli standard economici e infrastrutturali richiesti sono molto diversi rispetto a quelli di dieci o quindici anni fa. “Imola è una città straordinaria, ma vive in un contesto territoriale ristretto – ha osservato Domenicali – con limiti legati ad alberghi, strutture e spazi di sviluppo. La storicità è un valore, ma può diventare un limite se non ci sono le condizioni per crescere”.
Ciononostante, Domenicali non chiude la porta del tutto: esiste la possibilità di una rotazione con altri circuiti europei, qualora Imola riesca a presentare una proposta strutturata e sostenibile. Ha anche elogiato l’impegno del Comune e della Regione Emilia-Romagna, che “stanno facendo un lavoro straordinario” per garantire un ritorno del GP.
Infine, Domenicali ha toccato un punto cruciale: il cambiamento del pubblico. “Per i giovani tifosi, correre a Monte Carlo o a Las Vegas spesso è la stessa cosa”, ha spiegato. Questo evidenzia come la Formula 1 debba evolversi per restare attraente anche per le nuove generazioni, senza però dimenticare le proprie radici.
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