Era il 17 luglio del 2015 quando venne annunciata la morte di Jules Bianchi e oggi, dopo otto anni, il ricordo è più vivo che mai
Sono poche le foto che ritraggono Jules Bianchi mentre indossa una tuta rossa. Eppure bastano per non smettere di provare quel misto di tristezza e rabbia che contraddistinguono il destino del pilota francese. Sono sufficienti pochi istanti per vedere infranto un futuro fatto di sogni, soprattutto se quel sogno è così vicino, l’hai assaporato e poi si è dissolto nel tuo giorno preferito, la domenica, e si è concluso dopo 10 mesi di agonia trascorsi in un letto di ospedale.
Bianchi aveva già guidato la Ferrari, ma solo in sessioni di test. La scuderia di Maranello, dopo aver accolto il pilota in Ferrari Driver Academy (il primo in assoluto), voleva lasciarlo crescere prima di affidargli il sedile più ambito del mondo dei motori. Per questo motivo, nel 2013 inizia a correre per la scuderia Marussia, in attesa di vestirsi definitivamente di rosso.
Ma il destino, alcune volte, sa essere molto più forte di un sogno. A Suzuka, il 5 ottobre del 2014, una pioggia battente ha indirizzato il destino nella direzione sbagliata. Eppure, è semplice dare colpa alla pioggia se poi la scelta errata ha mano umana.
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In quella domenica giapponese, forse, la sicurezza doveva avere la precedenza sull’agonismo di una tappa del mondiale di Formula 1. Forse quella gru doveva aspettare ad entrare in pista per rimuovere la monoposto di Adrian Sutil. Forse la gara doveva essere sospesa per la bassa visibilità. Ma si sa, con i forse non si fa la storia e non saranno i dubbi a restituire Jules Bianchi alla sua vita, prima ancora che al suo sogno tinto di rosso.
Otto anni dopo, la sicurezza in pista è molto diversa. I dispositivi di protezione sono aumentati al punto da aver restituito momenti da lieto fine dopo incidenti molto brutali, su tutti quello di Grosjean in Bahrein e quello di Zhou a Silverstone. Ma la sicurezza non è ancora definitiva, sopratutto nelle serie minori, dove continuano ad esserci incidenti mortali. L’ultimo, qualche settimana fa a Spa, che ha tolto la vita al giovane Dilano Van’T Hoff e che ha ricordato ancora una volta i rischi di questo sport.
Oggi, come ogni giorno, ricordare chi ha perso la vita per un sogno è l’unico modo per far rivivere un sogno spezzato. Oggi, come sempre, la rabbia non restituirà nulla. Ma il ricordo è il solo modo per far rivivere il sorriso di Jules Bianchi dentro una monoposto, mentre pensava a quella tuta rossa che lo stava aspettando. E che l’aspetterà per sempre.
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