F1 | Giorgio Terruzzi sulla “bulimia sportiva” e l’incoerenza della Formula 1

Giorgio Terruzzi, in un’intervista esclusiva a cura della redazione, ci parla della “bulimia sportiva” e dei lati oscuri della Formula 1.

Giorgio Terruzzi, in un’intervista esclusiva per PaddockNews24, ci ha parlato dell’eccessiva lunghezza del calendario di Formula 1 e dell’evoluzione delle relazioni con i piloti. Il giornalista, la cui esperienza nel mondo dello sport e della F1, nello specifico, è sconfinata, ha raccontato gli anni d’oro delle corse e cosa dovrebbe ritrovare il Circus.

F1 Giorgio Terruzzi Formula 1
Tifosi Ferrari al GP di Austin – @ScuderiaFerrari on X

Con la chiusura del Mondiale in Qatar e il successivo GP degli USA, che ha confermato il dominio Verstappen, è tempo di riflessioni. Se anche i promoter degli eventi cominciano a chiedersi se la direzione presa sia quella giusta, è d’obbligo fermarsi a ragionare sull’evoluzione della Formula 1. Lo abbiamo fatto con Giorgio Terruzzi, nella seconda parte della nostra intervista esclusiva.

La “bulimia sportiva” di questo mondo che cambia

Verstappen campione in Qatar, al sabato, davanti a poche migliaia di spettatori presenti. In molti hanno raccontato di un contesto sterile, che va a chiudere un Mondiale che forse si sarebbe potuto concludere in Giappone e nessuno se ne sarebbe lamentato. Lei cosa pensa di questa costante espansione del calendario, che va a toccare anche località “disinteressate” al motorsport?.

Secondo me, 24 gare sono troppe. Ma questo è un discorso molto ampio che riguarda lo sport in generale. C’è una sorta di “bulimia sportiva” enorme. In una cultura del guardare e non dell’approfondire, del leggere, c’è una proliferazione enorme di eventi. Lo sport è una distrazione ed è uno spettacolo popolare. La Formula 1, in particolare, ha bisogno di molti denari per vivere e va dove il denaro lo prende, con dei Gran Premi che sono più degli eventi ad uso interno che ad uso esterno.

F1 GP Qatar pagelle
Secondo Giorgio Terruzzi, il dominio di Verstappen e il secondo posto nel Mondiale di Perez danno la misura dello stato della Formula 1 – @Max33Verstappen on X

Ci sono degli interessi di vario tipo, che differenziano anche Las Vegas dal Qatar. Da una parte, c’è l’interesse commerciale che porta a fare dei Gran Premi in luoghi dove non c’è pubblico, dove le persone non hanno la cultura che abbiano noi connessa alla storia del motorismo. Sono meno attratte, se non dalla curiosità dell’evento oppure da una lobby economica che ha bisogno di quell’evento.

Insomma, fanno i Mondiali di calcio in Qatar, d’inverno, non si tratta solo della Formula 1. C’è tutta una serie di considerazioni sull’opportunità di andare in alcuni Paesi con leggi “discutibili”, ma è un tema complesso che riguarda tante cose, comprese le attività commerciali.

Finire il Mondiale lì, di sabato, con una gara Sprint, non è il massimo. Ma la chiusura avviene con una diretta televisiva che può essere qui, là, o altrove e che cada in Qatar è una casualità connessa allo sviluppo della stagione. A me preoccupa più che un Mondiale finisca con questo anticipo, con una dominanza fin troppo rilevante di chi vince. Ora ci sono una sfilza di corse dov’è finito tutto. Non è una novità, però: capita quando si ha una macchina così forte.

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La Formula 1 è pronta a sbarcare a Las Vegas – @F1 on X

Qui poi, c’è un elemento ulteriore che trasforma il Mondiale in un monologo perché, a differenza di altri anni, la differenza fra Verstappen e Perez è enorme. Non c’è un RosbergHamilton, non ci sono Senna e Prost o Piquet e Mansell che si danno battaglia su una macchina vincente. Qui c’è un pilota che stravince, con una macchina vincente ed un compagno in crisi nera che comunque è secondo nel Mondiale. Perez secondo in classifica dà la misura dello stato dell’arte.

Raccontarsi da dietro un muro

Collegandoci al tema dell’evoluzione della Formula 1, lei ha detto in altre occasioni che, ad un certo punto della storia, è comparsa la figura del pilota professionista. Un professionista che, con Michael Schumacher, introduce la figura dell’Addetto Stampa, che va a filtrare il rapporto fra pilota e pubblico/giornalisti. Lei come ha vissuto questa evoluzione del rapporto fra i piloti ed il pubblico e qual è stata l’epoca d’oro per raccontare le corse?

Questo è un tema connesso all’evoluzione della comunicazione. Se lei scrive alla fidanzata “ti amo” è un paio di maniche, se glielo deve dire in faccia è un po’ diverso. Questo è un esempio che dà la differenza. Se lei manda una foto e dice di essere in Congo, io devo crederle, ma non è che parla con me del Congo. È cambiata la comunicazione.

Michael Schumacher arriva in griglia per il GP degli Stati Uniti 2002 – @ESPNF1 on X

Questi ragazzi fanno parte di una generazione che è quella che potrebbe essere delle mie figlie, che è cresciuta con degli strumenti e una virtù del comunicare che è questa. Una generazione che è tutta rapidità, dove forse anche la riflessione viene vista come una noia. In aggiunta, i piloti hanno molto più da fare dal punto di vista PR e della rosa di sponsor dei team, piuttosto che parlare con i giornalisti.


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Molte squadre hanno degli uffici stampa formati da persone che non hanno la cultura giornalistica e che fanno un po’ da carabinieri. I piloti sono iperprotetti, non c’è più la possibilità di avere un’intimità, di riconoscersi e di provare a stare un po’ insieme. Cosa che succedeva prima e che è successa fino agli anni 2000.

Schumacher aveva sì un Addetto Stampa, ma si trattava di una bravissima ex-giornalista che sì, sceglieva le cose da fare, ma aveva il tuo stesso linguaggio, la tua stessa cultura. Oggi è molto diverso, andare ai Gran Premi, secondo me, non serve più perché c’è un’attenzione spostata sulle televisioni che si pensa risolvano il problema per tutti. Ma non è così, però qui entriamo in un discorso che riguarda anche l’evoluzione del giornalismo.

Tu non hai più modalità di accedere davvero ad un’intimità, devi prendere quello che si decide di dare. È più difficile avere un rapporto diretto, cercare di capire com’è fatto un ragazzo, una persona, un atleta.


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